Politicamente corretto: quando stravolge la comunicazione

Il “politicamente corretto”… non mi piace, lo ammetto.

Credo che sia giusto premetterlo in un articolo nel quale uso il “politicamente corretto” quale esempio di messaggi che, cercando di rimarcare il proprio fine, ottengono, in definitiva, un risultato quasi opposto al voluto.

immagini speculari per rappresentare il giusto e sbagliato nel politicamente corretto

Un post sul politicamente corretto necessita di una introduzione

Non mi piace il “politicamente corretto” perché lo ritengo un appiattimento e qualunque appiattimento è nemico del cambiamento e dell’evoluzione. 

sufragetta: movimento che lottava contro ciò che era "politicamente corretto"

Alcune persone, alcuni movimenti, oggi indicati come “corretti” dal punto di vista politico, in realtà ai loro tempi erano “politicamente scorretti”, nel senso che andavano contro il pensiero comune. Si pensi (per citare i primi casi che mi vengono in mente) a Martin Luther King, al movimento delle suffragette di fine ‘800 inizio ‘900 e alla loro evoluzione, le femministe degli anni ’60, oppure, anche, ai pensatori illuministi che non si adeguarono alla visione del mondo clericale allora imperante.

Ovviamente sto semplificando. Insultare, discriminare, ad esempio, una persona per la pigmentazione della sua pelle, per le sue preferenze affettive, per le sue credenze politiche o religiose, è politicamente scorretto, ma, sicuramente, non è un motore dell’evoluzione… è, come minimo, una “marcia indietro”.

Detto questo, ritengo, comunque, che il politicamente corretto oggi imperanterischi non solo di creare una neo lingua orwelliana che non permetta di pensare fuori dagli schemi riconosciuti come accettabili, ma che, se seguito pedestremente, acriticamente e (a volte) illogicamente, rischi di portare a situazioni che ne sconvolgono il fine ufficiale.

Di seguito riporterò tre esempi in cui, ritengo, che per seguire il politicamente corretto, nello specifico la lotta al razzismo che si voleva perseguire, il messaggio finale sfocia, al contrario, in una esaltazione delle differenze tra le “razze”.

Nota lessicale

lo Yin e lo yang con rappresentazione grafica contro il razzismo

Sono cosciente, e concordo, che oggigiorno si tenda a non riconoscere la suddivisione in “razze” del genere umano, ritenendo, appunto, che l’unica razza sia quella umana. 

È però vero che è difficile non usare il termine “razza” se si vuol  parlare di “razzismo”, senza considerare che, almeno attualmente, il termine ha ancora un suo valore giuridico, essendo anche usato nella Costituzione italiana (articolo 3).

Nota metodologica

In questo post parlo, in prima battuta, di politicamente corretto. In realtà il discorso deve essere inteso in maniera più ampia su come un errore di impostazione del nostro messaggio può arrivare a produrre un risultato anche opposto al voluto.

Gli esempi da me riportati vanno quindi letti sì come critica al politicamente corretto come moda, ma anche, e soprattutto, al cercare di capire la logica del proprio messaggio e come potrebbe subire una interpretazione distorta, consciamente o inconsciamente, non diversamente da come capita con gli esempi riportati nei miei precedenti post “Comprensibilità e costruzione della frase” e “Essere chiari per evitare i maliziosi“.

Il politicamente corretto che crea il politicamente scorretto

Come dicevo userò tre esempi per mostrare come il voler essere politicamente corretti, non come ragionamento logico, ma come adesione a una “fede”, comporti il rischio di ottenere un effetto opposto al desiderato, creando situazioni che in definitiva sono politicamente scorrette.

E gli esempi che farò si riferiscono al “razzismo”.

Cani di razze diverse insieme: nessun "razzismo"

Cosa è, in definitiva il razzismo? Il non riconoscere come uguali coloro che appartengono a fenotipi o a culture diverse da quella che riconosciamo come “nostra” e nel rimarcare queste differenze.

Io sono, tu sei, lui è… o variazioni sul tema anche con terminologie offensive. 

In teoria il non razzista non dovrebbenemmeno considerarle queste differenze, non diversamente da come succede nel mondo animale: un cane bassotto si rapporta in maniera identica a un altro bassotto o a un alano.

A volte, invece, il voler fare il politicamente corretto ad ogni costo porta, per assurdo, proprio a rimarcare queste differenze. 

Emoticon: da universali a particolari

Le emoticon sono quei pittogrammi che ormai fanno parte del linguaggio “scritto” moderno dei messaggini.

smiley: un giallo "universalizzante" e realmente politicamente corretto
lo “Smiley”

Nate come evoluzione dei “disegnini” creati usando i segni di punteggiatura nei primi messaggi informatici (ad esempio “:-)“ per indicare la faccina sorridente) all’inizio si rifacevano semplicemente al già famoso “smiley”, una rappresentazione stilizzata di un volto umano sorridente di colore giallo.

Ed è sul colore che mi voglio concentrare: nonostante una “googlata” non ne ho trovato una spiegazione certa del colore, ma si può presumere che la scelta del giallo brillante si possa riferire alla “solarità”, all’allegria.

Ha però, secondo me, anche un effetto di universalizzazione del disegno: nessun fenotipo umano ha quel colore di pelle. Per questo a qualunque “razza” tu appartenga puoi utilizzarlo sentendo che può riferirsi anche a te.

Politicamente corretto ed emoticon: colori diversi
Quando l’emoticon mette in evidenza le differenze

Però con l’evoluzione degli emoticon e con l’aumentare del loro numero sono stati affiancati al colore giallo anche colori che più si avvicinavano ai colori epiteliali realmente esistenti. Ad esempio le “manine” (Ok, vittoria, saluto…) possono essere scelte nel giallo universale oppure in una delle varie declinazioni di pigmentazioni dal “bianco” al “nero”.

Se da una parte in tal modo si è dato ad ognuno la possibilità di scegliere la rappresentazione grafica che più ritiene conforme al proprio “io”, dall’altro si è trasformato un simbolo grafico universale e unificatore in un evidenziatore di differenze

Il telefilm senza “razze”, che lancia la diversità tra razze

Nuovo giro, nuova corsa.

Come si diceva, al giorno d’oggi si dice sempre più spesso che non è giusto parlare di “razza” perché ne esiste una sola, quella umana.

In un mondo ideale, quindi, quando una persona si interfaccia con un’altra non dovrebbe nemmeno notare la pigmentazione della pelle… dovrebbe essere una caratteristica irrilevante o che comunque non implichi alcun genere di giudizio preconcetto, non diversamente dal colore, ad esempio, degli occhi.

Nel telefilm “Lo straordinario mondo di Zoey”, la prima stagione si muove in questo mondo ideale. Le differenze razziali sono ignorate, come non esistenti.

La protagonista, bianca, che ha una cognata asiatica, si prende una cotta per un “figonzo” nero, che è già fidanzato con una valchiria bionda, mentre l’amico transessuale nero si mette insieme a un bel ragazzo latino.

Il tutto senza che mai nessuno faccia mai riferimento alla pigmentazione della pelle.

Il telefilm, in pratica, aveva creato un eden dove la mela del peccato “razzista” non era considerata, non esisteva…

Una cosa irreale? Può anche essere, ma il messaggio di irrilevanza della “razza” era lanciato forte e chiaro.

Poi arriva la seconda stagione, ad occhio girata nel periodo dell’esplosione del “black lives matter”. E nell’Eden viene esplicitamente introdotta la mela del peccato razziale.

Non solo il “nero” prende coscienza del suo essere nero, ma incomincia a frequentare una ragazza rigorosamente afroamericana, mentre la protagonista si mette con il vecchio amico bianco e prende anche coscienza della “colpa” di essere bianca!

Il tutto molto “politicamente corretto”, secondo la moda del momento, ma che annulla il messaggio dell’inesistenza delle razze fino ad allora portato avanti e, cosa ancora peggiore, in maniera subdola e subliminale, sembra introdurre la “separazione” tra le razze: bianco con bianco e nero con nero…

Le sportive azzurre… prima italiane o prima di colore?

Con il terzo esempio mi butto su un fatto di cronaca sportiva che divenne un caso di cronaca politica qualche tempo fa.

Era il 2018 quando ai Giochi del Mediterraneo la squadra femminile italiana della staffetta 4×100 vince la medaglia d’oro.

A vincere furono Libania Grenot, Raphaela Lukudo, Ayomide Folorunso, Maria Benedicta Chigbolu, quattro ragazze, italiane, ma con origini non italiane.

E su questo fatto si creò il fatto “politico”.

E se da una parte era purtroppo prevedibile che qualche stupido retrogrado (e razzista) evidenziasse il colore della pelle per provare a negare “l’italianità” delle quattro atlete, fu invece assurdo notare come furono gli “anti razzisti” a lanciare una campagna social che in definitiva evidenziava proprio questo fatto. Sì, certo, lo scopo era sostenere che l’Italia stava cambiando e vi erano (e vi sono) “nuovi” italiani, ma in realtà stavano (si spera inconsapevolmente) lanciando messaggi che evidenziavano la “differenza”.

Non si vedevano più quattro atlete, quattro giovani, quattro vincitrici, quattro italiane… si vedevano quattro persone di colore!

E alla fine il messaggio che stavano inconsciamente lanciando non era di integrazione, ma di separazione.

Politicamente corretto e comunicazione: conclusione

E finisco ricordando una frase di “Indovina chi viene a cena”, quando il personaggio di Sidney Poitier, parlando al padre, gli dice: “Tu ti consideri ancora un uomo di colore, mentre io mi considero… un uomo”.

Finché si segue il politicamente corretto pensando alle persone di colore come “persone di colore” e non come “persone”, si negherà il concetto stesso di politicamente corretto, che rimarrà una moda, un modo per zittire alcune persone, ma non un reale modo di rispettare gli altri e mandare un messaggio di cambiamento… in meglio!

Dal punto di vista comunicativo l’avviso è questo: attenzione che per negare un qualcosa non si punti proprio su quel particolare, esacerbandolo e facendogli acquisire un ruolo di protagonista che si avrebbe preferito non avesse!

Post scriptum: le immagini di questo post

simbolo del copyright

Non ho inserito immagini per gli ultimi tre capitoletti di questo post. Non l’ho fatto perché quelle che avrebbe avuto logica inserire (immagine del telefilm, foto delle quattro atlete, locandina del film citato) rischiano tutte di essere con copyright… e troverei non molto politicamente corretto rubare i diritti di altri!

Marco Campagnolo
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